Le modifiche introdotte dalla Legge 108/2021 alla disciplina del subappalto, in vigore dal primo novembre 2021, cambiano radicalmente i limiti quantitativi ammessi.

L’intervento normativo ha tentato di allineare finalmente le disposizioni normative nazionali alle censure euro comunitarie e in particolare alla sentenza del 26/09/2019, resa nella causa C-63/18, con cui la CGUE si è pronunciata, su richiesta di rinvio pregiudiziale da parte del TAR Lombardia, su un contrasto tra l’art. 105 del D.Lgs. 50/2016 e le direttive europee che riconoscono nel subappalto uno strumento atto a favorire l’accesso al mercato delle PMI, per questo gli Stati membri non possono limitare il subappalto con un limite generalizzato, in maniera astratta e su una determinata percentuale come avveniva invece per il nostro Codice.

Segnaliamo che il nuovo assetto proposto non pare poter gratificare in pieno i rilievi mossi dalla CGUE, infatti, il lo stesso in parte ricalca le vecchie problematiche.

Il comma 2 dell’art. 105 crea per la prima volta un limite al subappalto legato alla discrezione della stazione appaltante in riguardo alla: “natura o della complessità delle prestazioni o delle lavorazioni da effettuare, di rafforzare il controllo delle attività di cantiere e più in generale dei luoghi di lavoro e di garantire una più intensa tutela delle condizioni di lavoro e della salute e sicurezza dei lavoratori ovvero di prevenire il rischio di infiltrazioni criminali”.

Il comma 1 dell’art. 105, invece, ripresenta un limite generalizzato e in astratto sulla parte di prestazione prevalente: “non può essere affidata a terzi l’integrale esecuzione delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto, nonché la prevalente esecuzione delle lavorazioni relative al complesso delle categorie prevalenti e dei contratti ad alta intensità di manodopera”, riconducendo palesemente a quei limiti assoluti contestati dalla CGUE negli ultimi anni, riportandoci sicuramente a nuove contestazioni.

Il nuovo regime prevede quindi che per gli appalti pubblici avremo: da una parte un limite fisso del 50% della categoria prevalente, da un’altra dei limiti variabili su esclusiva motivazione della stazione appaltante.

Il vantaggio di un aumento della quota subappaltabile, ricordiamo che nei precedenti regimi ci si attestava al percentuali inferiori rispetto al complessivo dei lavori (dal 30% al 50%), è da rinvenirsi in una maggiore libertà di organizzazione dell’impresa nella fase esecutiva.

Fino ad oggi il limite al subappalto ha limitato l’organizzazione ma anche la produttività dell’impresa giacché l’esecuzione doveva essere realizzata necessariamente dall’impresa appaltatrice che poteva rivolgersi al mercato del subappalto per sola una minima parte di opere.

Avendo l’appaltatore maggiore possibilità di subappaltare valuterà se eseguire in proprio o subappaltare una determinata lavorazione, tenendo conto senz’altro di quello che sa e può fare, garantendo in questi termini la migliore esecuzione della commessa.

Stiamo quindi dicendo che duplice è il vantaggio nella riduzione dei limiti al subappalto, si favorisce l’accesso al mercato delle PMI e si ottiene anche una migliore esecuzione perché è proprio la possibilità di ricorrere in alternativa ad altro soggetto meglio organizzato o con maggiore esperienza che ci garantisce una migliore condizione nella qualità delle prestazioni e nei tempi di espletamento.

Non è banale a riflessione in questo momento storico in cui la celerità nella fase di esecuzione è certamente valore di interesse collettivo da promuovere.

Del tutto illogica è la posizione di chi sostiene che l’opera totalmente subappaltata possa essere eseguita male perché in qualche modo si perderebbe la verticalità nella catena di controllo tra committente, appaltatore, subappaltatori.

I subappaltatori restano soggetti qualificati a ricevere l’opera e l’allocazione delle responsabilità da organizzazione è la solita che conosciamo, non può quindi sostenersi il contrario solo perché la percentuale di subappalto aumenta o diminuisce.

Altra falsa convinzione riguarda il presunto svilimento della capacità realizzativa degli operatori, per cui potendo subappaltare tutta la commessa le aziende affidatarie, nel tempo, diventeranno poco più che degli uffici tecnici perdendo quelle capacità di esecuzione che hanno maturato negli anni.

Tale posizione è travisata, l’appaltatore dovrà comunque eseguire parti dell’opera per non perdere nel tempo i requisiti necessari per alimentare il mantenimento dell’attestazione SOA, i CEL maturano solo per le parti eseguite, resta valido il comma 22 art. 105.

La questione invece interessante, che merita un approfondimento mag­giore, è quella legata alla corretta esecuzione dei lavori: il limite al subappalto in qualche modo può incidere sul buon andamento della commessa pubblica?

La lettera di costituzione in mora della Commissione del 24 gennaio 2019, par. 1.3, pag. 12, nello stabilire che non possono essere stabiliti li­miti percentuali fissi al subappalto, offre tuttavia una possibilità di ecce­zione: infatti, “consente alle amministrazioni aggiudicatrici di limitare il di­ritto degli offerenti di ricorrere al subappalto, ma solo ove siffatta restrizione sia giustificata dalla particolare natura delle prestazioni da svolgere”.

Se, infatti, liberalizzando la quota di subappalto si amplificano maggiormente le risorse e le competenze, quindi le capacità realizzative, il rischio di cui tener conto è l’aumento della complessità dell’esecuzione che deriva proprio dalla sovrapposizione di organizzazioni.

In quali casi, dunque, potrebbe essere stabilito un limite al subappalto a discrezione della stazione appaltante?

Il ragionamento dovrebbe orientarsi alla ricerca di una condizione partico­lare per cui un’eventuale frammentazione in subappalti possa inficiare la corretta esecuzione dell’opera.

Abbiamo cercato di fare qualche riflessione anche e soprattutto dal punto di vista del management dell’opera pubblica; diciamo subito che l’e­ventuale limitazione non può riguardare aspetti generici legati alla tipo­logia di lavoro tra specialistiche, generali e SIOS e nemmeno questione di rilevanza tra opere scorporabili o prevalenti.

Riteniamo invece che la possibilità di limitare il subappalto possa es­sere legata al contenimento della complessità realizzativa dell’opera. Im­maginiamo la realizzazione di un edificio con struttura prefabbricata: per ragioni di continuità realizzativa la stazione appaltante potrebbe porre un limite consentendo il subappalto solo sulle parti di finitura. In que­sto modo, preservando l’integrità esecutiva della struttura prefabbricata, guadagnerebbe migliori garanzie di corretta esecuzione: opere struttura­li eseguite in un unico stabilimento, certificazione unitaria delle struttu­re, montaggio unico.

In questa maniera, attraverso limiti di subappalto, parziali o totali, la stazione appaltante potrebbe preservare la realizzazione continua di par­ti d’opera, sempre se si rendesse necessario questo approccio finalizzato alla ridu­zione della complessità esecutiva.

Più imprese a cooperare su una categoria di lavoro creerebbero orga­nizzazioni sovrapposte, quindi problemi di allocazione delle responsabili­tà, difficoltà esecutiva, impossibilità a una certificazione unitaria del pro­dotto, elevazione delle misure di sicurezza per compresenza di imprese su spazi di lavoro, interconnessioni in genere e quindi complessità e ri­schi aggiunti.

Da questa parte si è diretto il legislatore con l’introduzione del comma 2 dell’art. 105.

Potremmo dire, ragionando per principi, che le limitazioni al subap­palto possono essere introdotte, dietro un’attenta valutazione della stazione appaltante, qualora la complessità dell’opera in termini di interconnessioni tra soggetti impegnati possa creare rischi in esecuzione tali da poter giustificare una compressione del principio di li­bera organizzazione dell’impresa.

Ecco che i limiti di subappalto potrebbero essere numerici, allora, in­tesi come numero di aziende su lavorazione, così diventando strumento volto ad evitare una frammentazione infruttuosa delle opere.

Il discorso torna con riferimento al comma 2 dell’art. 105 in ordine alla natura e complessità delle opere e alla sicurezza, si fa invece fatica a comprendere la logica dell’imposizione di qualsivoglia limite rispetto al favorire  i controlli e a evitare infiltrazioni criminali.

Di seguito un esempio pratico con riferimento a una situazione verificabile sempre quella del comma 1, è escluso l’effetto di un’eventuale limitazione della stazione appaltante ai sensi del comma 2 in quanto non sempre verificabile e per la verità riscontrata pochissime volte in questi mesi di vigenza.

Le simulazioni mostrano come alla presenza di più categorie di lavoro la percentuale del subappalto può aumentare, restando fissa la sola realizzazione maggioritaria della categoria prevalente.

Essendo chiari i principi che hanno mosso in questi ultimi anni le censure della CGUE in materia di subappalto ma anche di associazione temporanea, in entrambi i casi in favore della libera organizzazione di partecipazione ed esecuzione degli operatori economici, si ritiene che nel prossimo futuro due potranno essere gli orientamenti di riforma.

Da una parte potrebbe essere rimosso il limite generalizzato e astratto di cui al comma 1 dell’art. 105, di cui abbiamo parlato, che impone l’esecuzione in proprio della parte maggioritaria della categoria prevalente.

Dall’altra dovrebbe trovare strada l’abrogazione del comma 19 dell’art. 105 che prevede “L’esecuzione delle prestazioni affidate in subappalto non può formare oggetto di ulteriore subappalto” così aprendo un nuovo interessante dibattito sull’ammissibilità del subappalto a “cascata” quale opportunità ulteriore di accesso agli appalti delle PMI.

Estratto dalla pubblicazione “Vademecum per l’ufficio gare delle imprese dei lavori pubblici” III edizione, anno 2022, Maggioli editore, autore Paolo Capriotti